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Archive for 31 dicembre 2011

Los de Abajo

 Maggiorenne

Gloria Muñoz Ramírez

18 anni fa l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) irrompeva nella vita pubblica del paese e del mondo. Questo primo di gennaio l’insurrezione diventa maggiorenne, una maturità politica rappresentata dal lavoro quotidiano di più di mille comunità indigene che organizzano la propria autonomia in un processo ancora non comparabile con i molti altri presenti in tutto il paese. Nelle cinque regioni del Chiapas dichiarate in ribellione continua ad esserci un esercito regolare armato. Non usa le armi, vero, perché è vigente l’impegno per la pace che ha stipulato con la società civile nelle prime settimane del 1994.

18 anni fa gli zapatisti arrivarono per restare, nonostante le molte offensive militari, paramilitari, di contrainsurgencia, intellettuali, i mezzi di comunicazione ed i partiti, alle quali hanno resistito durante i governi federali di Carlos Salinas, Ernesto Zedillo e Vicente Fox, ed attualmente di Felipe Calderón.

18 anni fa gli zapatisti tzotziles, tzeltales, zoques, mames, tojolabales, choles e meticci, fecero la loro apparizione pubblica con la presa di sette capoluoghi municipali del Chiapas. Non sono gli stessi di allora, come non lo è il paese che li vide nascere nella clandestinità nel 1983, quello che li ricevette l’alba del primo gennaio del 1994, quello che percorsero da sud a nord nel 2006, né quello che in questo momento è infognato in una guerra in “contro il narcotraffico” che è costata la vita a più di 50 mila persone.

Il 6 maggio scorso, in un’affollata manifestazione, dopo cinque anni di assenza al di fuori del loro territorio, più di 20 mila basi di appoggio hanno unito il loro grido e silenzio a quello del Movimento per la Pace. La loro posizione è stata la stessa di 18 anni fa: “Non siamo qui per indicare strade, né per dire che cosa fare, né per rispondere alla domanda: che cosa succederà”.

La lotta zapatista non è nata né è proseguita sulla base di rivendicazioni puramente indigene. Fin dall’inizio, raccontano, si pensò alla lotta nazionale. Il tenente colonnello Moisés una volta spiegò che nel 1983 si domandavano: “Come faremo per avere buona assistenza sanitaria, buona educazione, buone case per tutto il Messico? In quei primi 10 anni acquisimmo molte conoscenze, esperienze, idee, modi di organizzarci. E pensavamo: come ci accoglierà il popolo del Messico (non lo chiamavamo ancora società civile)? E pensavamo che ci avrebbero accolto con gioia, perché avremmo combattuto e saremmo morti per lui, perché vogliamo che ci siano libertà, democrazia e giustizia per tutti. Ma nello stesso tempo pensavamo, come sarà? E se non ci accetteranno?” http://www.jornada.unam.mx/2011/12/31/opinion/013o1pol

losylasdeabajo@yahoo.com.mx

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada-Sabato 31 dicembre 2011

Seminario in Chiapas sui parametri imposti dal potere. Il progresso: falsa promessa dei ricchi per rubare ai poveri

Dopo 18 anni le comunità indigene ancora devono far fronte alla guerra

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 30 dicembre. Con la sfida di affrontare il concetto innovativo della “potenza dei poveri“, che l’intellettuale tzeltal Xuno López ha definito “provocatorio”, a mezzogiorno è iniziato il secondo Seminario Internazionale di Riflessione ed Analisi, nella Cideci-Università della Terra, in questa città. Ha dato avvio al dibattito la presentazione del libro-conversazione dei pensatori Jean Robert e Majid Rahnema, che ha proprio questo titolo. Come intendere da lì lo sviluppo, il progresso ed in generale i parametri imposti dal potere?

Convocato alla vigilia del diciottesimo anniversario dell’insurrezione dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, nella sessione del mattino il seminario ha anche dato luogo ad una precisa effemeride dell’antropologa Mercedes Olivera, sulla ribellione zapatista e la guerra occulta, economica e paramilitare che ancora devono affrontare le comunità indigene del Chiapas dalla resistenza e l’autonomia, dalle quali emana la loro forza. Sarebbe questa la “potenza” cui allude l’opera di Rahnema e Robert.

Lo stesso Robert, durante la prima sessione, ha enunciato l’opposizione tra “la povertà come sintomo della ricchezza” e “la ricchezza come sintomo della povertà”. Da dove guardare? O come López ha sottolineato: “i poveri, lo sono secondo chi?”, cercando di trovare una traduzione nella sua lingua, oppure in tzotzil, di quel concetto generalizzato dal sistema di dominazione. Poi, Rafael Landerreche, educatore e collaboratore di Las Abejas di Acteal, ha fornito una caratterizzazione di questo “dogma” imposto dall’educazione e dall’ideologia, citando l’infallibile scrittore inglese Chesterton, che diceva che il progresso è la storia che i ricchi raccontano ai poveri ogni volta che i ricchi li vogliono derubare di qualcosa.

Xuno López, originario di Tenejapa, che ha iniziato il suo intervento in tzotzil, in considerazione che questa è la lingua di un gran numero dei presenti, ha fatto un esempio molto eloquente, che di fatto è servito ad illustrare tutta la sessione: “la falsa promessa evidente” della città rurale di Santiago el Pinar, una comunità degli Altos reputata dal governo povera tra i poveri alla quale il governo e diverse imprese hanno costruito una “città” affinché abbandonasse le case sui loro terreni per andare, si presume,” a vivere meglio”.

Seguendo la similitudine del bastone e la carota,utilizzata da quasi tutti i conferenzieri, López ha detto che i coloni di El Pinar, quasi obbligati ad accettare la promessa, “hanno beneficiato di queste case, se così si possono definire” ed abbandonato le proprie abitazioni. Dopo essersi stabiliti nelle nuove case hanno perso ogni illusione. Le loro case di origine erano ampie. Ora andavano a vivere meglio, ma secondo chi? La delusione dei fratelli, ha detto, è dovuta al fatto di aver accettato il concetto di povertà dettato dal sistema, poiché “l’arte di vivere dei popoli parte da quello che è necessario, arte che si può trovare nelle comunità”.

Come ha scritto Landerreche nel libro (“che critica i kaxlanes”), esiste una differenza sostanziale tra “un uomo di potere” e “un essere con potenza”. Da qui “si può rinunciare al potere, non alla potenza” (la possibilità di fare, decidere, governarsi). I popoli originari ed i movimenti organizzati si oppongono alla logica divoratrice dell’accumulo di capitale che Jean Robert colloca al primo paragrafo del Capitale di Karl Marx. La logica che impone una ch’ulel (coscienza, anima o spirito, in lingue maya) sbagliata ed aliena, come diceva López, alle persone che si convincono di avere bisogno di quello di cui non hanno affatto bisogno, accettando il bastone per raggiungere la carota del progresso promesso.

Il “sviluppo” che accompagna il saccheggio capitalista “distrugge la povertà dignitosa con la povertà indegna”, nel senso che il sistema capitalista non smette mai di produrre “poveri”, critica al potere condivisa da tutti i partecipanti, tra i quali ci sono anche la ricercatrice Ana Valadez e lo studioso ed attivista zapoteco Carlos Manzo.

Manzo ha detto di trovare questa “potenza dei poveri” nella resistenza dei popoli, che include resistere al pensiero economico occidentale “che non necessariamente riflette la realtà della vita dei popoli indios”. Sostiene che “sono le vere rivoluziona quelle che permettono la libertà”, realizzate da “coloro che sono gli unici supporti degni delle rivoluzioni che funzionano” e garantiscono la dignità del buon vivere. Ha citato le esperienze oaxaqueñas degli ikoots, gli zapotechi e gli zoques dei Chimalapas come lotte concrete contro il saccheggio e per la dignità, che possono dirci “come costruire questi domani differenti”.

López ha affermato: “I popoli hanno contribuito molto al cammino verso il cambiamento attraverso la costruzione delle autonomie. È lì che si trova la nostra potenza come popoli, contro il ch’ulel dei dominatori”.

Le sessioni del Seminario Internazionale sono proseguite in serata con un incontro tra Xóchitl Leyva, Mercedes Olivera, Jerome Baschet e Ronald Nigh. http://www.jornada.unam.mx/2011/12/31/politica/013n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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